giovedì 28 giugno 2012

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Sono a casa. Circondata dai profumi della mia infanzia. Avevo dimenticato questi odori carichi di promesse. E’ strano come il ricordo possa essere nitido e sfocato al tempo stesso. Tutto è rimasto uguale eppure tutto è cambiato. Il paesaggio muta lentamente ma lo sguardo chiede qualcosa d’impossibile: la restituzione di un tempo perduto, scivolato in mezzo alla vita.

Casa. Immutabile luogo dell’anima che non ci allontana mai da noi stessi.
Casa. Qualcosa che attende il nostro ritorno.

Al tempo in cui vivevo in questo luogo c’erano meno recinzioni. Ora i terreni sono delimitati da fili spinati anche se non c’è nessuno che voglia scavalcarli per finire dentro un prato pieno di fiori.
E’ in questo luogo che vorrei tornare, in quella casa nascosta in cima all’ultima strada.
Le case disabitate continuano ad appartenerci, nessuno le ha cambiate e l’occhio le ritrova intatte.
Un occhio illuso e commosso.

giovedì 3 maggio 2012

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C’è molto da vedere anche là dove crediamo di aver già visto tutto. Non solo perché ogni giorno dovremmo avere occhi nuovi per guardare, ma anche perché a seconda del punto d’osservazione vediamo molto o molto poco, in ogni caso e inevitabilmente perdiamo qualcosa. Potremmo pensare che non sia nulla di rilevante, che il particolare non contribuisce all’insieme o all’idea generale che abbiamo di un luogo conosciuto. In parte è un’affermazione vera, ma con il tempo tendiamo a renderla assoluta. Questo è stato fino a poco tempo fa uno dei miei tanti limiti mentali e fisici, a cui non ho in verità mai seriamente pensato. Eppure.

Eppure l’osservazione è una dote importante, una virtù. Mi viene in mente che ho sempre desiderato saper disegnare e ho sempre creduto di non esserne capace. Anche la scrittura, come molte forme d’arte, descrive la realtà restituendola attraverso un canale familiare: occhi, bocca, mani, naso, orecchie. Per chi legge, l’emozione nasce negli occhi e si propaga nella bocca e nel naso, diventa musica per le orecchie e sensazione nitida di caldo e freddo sulle mani che sfogliano la pagina. Chi legge vive pienamente con tutti i suoi sensi. Immaginare attraverso le parole e gli occhi di un altro è come disegnare unendo i puntini sul foglio. La storia si tratteggia gradualmente mentre accogliamo in noi un aspetto in più di una realtà che solo poco prima non conoscevamo. Chi non si stanca di unire i puntini avrà sempre qualcosa di nuovo da scoprire anche di un luogo conosciuto. Oltre il ponte, oltre la rete, oltre la scala. C’è sempre un fiore.

lunedì 16 aprile 2012

CINQUE

Rimando, rimando, rimando. Perché rimandare è credere ancora che sia possibile e che io ne sia capace. La sensazione che mi angoscia è quella di non avere nulla da dire, anche se sono parole quelle che non riesco a pronunciare. Si dice che le parole siano inconsistenti, che la realtà è solo ciò che si può misurare e pesare. Ma non riesco a fare mio questo concetto, come non riesco a spiegare a chi mi rimprovera dicendo che un libro è solo finzione che racconta storie inventate, che la finzione non esiste nel momento in cui qualcosa fa suonare una nota dentro di noi. Saremmo stupidi a commuoverci per qualcosa che non ha sostanza; piangere, ridere, arrabbiarci per qualcosa che semplicemente non ci appartiene. C'è una realtà insondabile dentro di noi che rivendica il suo posto nel mondo. C'è una realtà insondabile dentro di me. Che rimanda, rimanda, rimanda...

venerdì 13 aprile 2012

QUATTRO

E la stretta allo stomaco è sempre lì ed è felicità, senso di colpa, voglia pazza di ridere in faccia al vento con la felpa e il cappuccio dietro di me, gusci vuoti abbandonati alla forza che li spinge verso terra mentre io corro, corro incontro al vento e sorrido di paura senza più guardarmi indietro.

giovedì 12 aprile 2012

TRE

Mi dico: ci vuole esercizio, ci vuole allenamento. A me, per scrivere, ci vuole solo l'umore. Pare che il dolore sia veicolo potente per le parole e da qualche parte nella mia vita devo averlo sperimentato. Ora - che ne avrei più bisogno - il dolore mi blocca e io mi dedico ad altro, a volte semplicemente a nulla, pur di evitarlo. Ora per scrivere ho bisogno di sole, finestre aperte, fiori sul balcone. Tutto ciò che so è che faccio una fatica bestiale per mettere due parole in croce; che la mia mente è sgombra di pensieri essendosi radunati tutti dalle parti dello stomaco restando lì a fare mattone; che l'esercizio di scrittura, come il proposito della dieta, dura quattro giorni per essere poi accantonato a favore di altre attività per le quali non ho la minima inclinazione: disegno, cucito e torte di cioccolato.

Per oggi direi che può bastare. Se mi esercito troppo potrei scoprire di non essere più in grado di scrivere.

mercoledì 11 aprile 2012

DUE


Non sono metereopatica, ma fuori piove e io mi sento depressa. Sfogo sul cibo, che trova da solo la strada del suo appagamento. E questo mi riporta a un discorso forse più deprimente del tempo, che qualche giorno fa si discuteva in famiglia. Si parlava di morti - e non c'è stato niente da fare, anche quando si cambiava argomento si finiva sempre per tornare a parlarne. Più precisamente si parlava di cosa si vorrebbe fare dopo morti. Io, per me, voglio essere cremata. O romanticamente gettata in  mare. O fatta a pezzi e sbranata dagli uccelli sulla cima di qualche montagna. O sepolta nell'orto di famiglia - se esiterà ancora. L'importante è che il mio corpo occupi uno spazio ristretto, soprattutto non voglio fiori - si seccano - al massimo una pianta che cresca rigogliosa e forte, una che a primavera fiorisca colorata. Soprattutto non voglio una festa, un funeral party dove tutti s'ingozzano vestiti a lutto. Mi sono sempre chiesta come si faccia a mangiare in momenti come questi. Mio zio li chiama succhi gastrici e quelli di certo non sanno che è morto qualcuno. Tutto forse dipende dall'intensità del dolore. L'ultima volta ricordo a me stessa di aver pranzato con diversi tranci di pizza. 

Una pizza davvero buona mentre nel letto in fondo al corridoio, alla destra del bagno, c'era la donna che non è mai stata  mia suocera.

L'avevano vestita tutta di nero, con delle orrende calze ricamate. L'avevano vestita come da tempo ormai la vedevano, ricordandola per sempre in quell'ultima immagine di sé scelta da altri in un armadio colmo di vestiti colorati.

UNO

Mio padre mi chiede se voglio partire con lui il prossimo anno. Un viaggio lungo un mese, padre e figlia mano nella mano, ma solo dentro un reciproco pensiero che ci vorrebbe così, come non siamo mai stati. 
Gli ho risposto Vedremo.
Non sai neanche dove voglio andare ha rincalzato lui. 
Non ha importanza
Partire è andare a vedere e io non ho visto ancora nulla.

Vorrei dirgli che nella mia voglia di andare c'è anche quella di non tornare più o di non tornare la stessa. Forse anche lui si sente come me, in procinto di un grande cambiamento. Io credo di averlo rimandato per troppo tempo, lui da una vita intera. Ma non ci sarà alcun viaggio, solo una lunga attesa di niente. E una finestra sul  mare, come questa dalla quale oggi mi affaccio a specchiarmi cercando il punto più lontano su cui fissare lo sguardo. 

L'orizzonte non si lascia mai catturare, altrimenti smetteremmo di avere orizzonti.