lunedì 16 aprile 2012

CINQUE

Rimando, rimando, rimando. Perché rimandare è credere ancora che sia possibile e che io ne sia capace. La sensazione che mi angoscia è quella di non avere nulla da dire, anche se sono parole quelle che non riesco a pronunciare. Si dice che le parole siano inconsistenti, che la realtà è solo ciò che si può misurare e pesare. Ma non riesco a fare mio questo concetto, come non riesco a spiegare a chi mi rimprovera dicendo che un libro è solo finzione che racconta storie inventate, che la finzione non esiste nel momento in cui qualcosa fa suonare una nota dentro di noi. Saremmo stupidi a commuoverci per qualcosa che non ha sostanza; piangere, ridere, arrabbiarci per qualcosa che semplicemente non ci appartiene. C'è una realtà insondabile dentro di noi che rivendica il suo posto nel mondo. C'è una realtà insondabile dentro di me. Che rimanda, rimanda, rimanda...

venerdì 13 aprile 2012

QUATTRO

E la stretta allo stomaco è sempre lì ed è felicità, senso di colpa, voglia pazza di ridere in faccia al vento con la felpa e il cappuccio dietro di me, gusci vuoti abbandonati alla forza che li spinge verso terra mentre io corro, corro incontro al vento e sorrido di paura senza più guardarmi indietro.

giovedì 12 aprile 2012

TRE

Mi dico: ci vuole esercizio, ci vuole allenamento. A me, per scrivere, ci vuole solo l'umore. Pare che il dolore sia veicolo potente per le parole e da qualche parte nella mia vita devo averlo sperimentato. Ora - che ne avrei più bisogno - il dolore mi blocca e io mi dedico ad altro, a volte semplicemente a nulla, pur di evitarlo. Ora per scrivere ho bisogno di sole, finestre aperte, fiori sul balcone. Tutto ciò che so è che faccio una fatica bestiale per mettere due parole in croce; che la mia mente è sgombra di pensieri essendosi radunati tutti dalle parti dello stomaco restando lì a fare mattone; che l'esercizio di scrittura, come il proposito della dieta, dura quattro giorni per essere poi accantonato a favore di altre attività per le quali non ho la minima inclinazione: disegno, cucito e torte di cioccolato.

Per oggi direi che può bastare. Se mi esercito troppo potrei scoprire di non essere più in grado di scrivere.

mercoledì 11 aprile 2012

DUE


Non sono metereopatica, ma fuori piove e io mi sento depressa. Sfogo sul cibo, che trova da solo la strada del suo appagamento. E questo mi riporta a un discorso forse più deprimente del tempo, che qualche giorno fa si discuteva in famiglia. Si parlava di morti - e non c'è stato niente da fare, anche quando si cambiava argomento si finiva sempre per tornare a parlarne. Più precisamente si parlava di cosa si vorrebbe fare dopo morti. Io, per me, voglio essere cremata. O romanticamente gettata in  mare. O fatta a pezzi e sbranata dagli uccelli sulla cima di qualche montagna. O sepolta nell'orto di famiglia - se esiterà ancora. L'importante è che il mio corpo occupi uno spazio ristretto, soprattutto non voglio fiori - si seccano - al massimo una pianta che cresca rigogliosa e forte, una che a primavera fiorisca colorata. Soprattutto non voglio una festa, un funeral party dove tutti s'ingozzano vestiti a lutto. Mi sono sempre chiesta come si faccia a mangiare in momenti come questi. Mio zio li chiama succhi gastrici e quelli di certo non sanno che è morto qualcuno. Tutto forse dipende dall'intensità del dolore. L'ultima volta ricordo a me stessa di aver pranzato con diversi tranci di pizza. 

Una pizza davvero buona mentre nel letto in fondo al corridoio, alla destra del bagno, c'era la donna che non è mai stata  mia suocera.

L'avevano vestita tutta di nero, con delle orrende calze ricamate. L'avevano vestita come da tempo ormai la vedevano, ricordandola per sempre in quell'ultima immagine di sé scelta da altri in un armadio colmo di vestiti colorati.

UNO

Mio padre mi chiede se voglio partire con lui il prossimo anno. Un viaggio lungo un mese, padre e figlia mano nella mano, ma solo dentro un reciproco pensiero che ci vorrebbe così, come non siamo mai stati. 
Gli ho risposto Vedremo.
Non sai neanche dove voglio andare ha rincalzato lui. 
Non ha importanza
Partire è andare a vedere e io non ho visto ancora nulla.

Vorrei dirgli che nella mia voglia di andare c'è anche quella di non tornare più o di non tornare la stessa. Forse anche lui si sente come me, in procinto di un grande cambiamento. Io credo di averlo rimandato per troppo tempo, lui da una vita intera. Ma non ci sarà alcun viaggio, solo una lunga attesa di niente. E una finestra sul  mare, come questa dalla quale oggi mi affaccio a specchiarmi cercando il punto più lontano su cui fissare lo sguardo. 

L'orizzonte non si lascia mai catturare, altrimenti smetteremmo di avere orizzonti.